Packaging o arte, arte e packaging: quando le confezioni sono capolavori

Il packaging è forse l’anima del commercio moderno, ma, oggi più che mai, è anche un discrimine per capire la filosofia e le vere aspirazioni di un brand. Con la confezione di un prodotto si può giocare, lo si può rendere più appetibile, gli si può imprimere un’identità piuttosto che un’altra. Addirittura, a volte, si può anche “fuorviare” il cliente con un packaging estremo che non corrisponde realmente al prodotto offerto, spostandolo in un settore di mercato – magari di lusso – che non gli apparterrebbe.
Omessi i “marchi”, il packaging è un vero e proprio fenomeno, tanto da poter essere considerato la versione 2.0 delle arti applicate che tanto hanno avuto fortuna dal 1800 in poi. Tra le tendenze contemporanee più interessanti, ci sono le confezioni in 3D. Giocando con l’innovazione della realtà virtuale e della realtà aumentata, si fanno largo proposte di packaging che diventano delle vere e proprie piccole scene teatrali.
Uno degli esempi più eclatanti relativi a questa forma di confezionamento ultra moderno che diventa arte contemporanea è una scatola di uova. Non una qualsiasi, ma quella di un marchio americano che ha scelto di usare proprio la tecnologia dell’augmented reality: fotografando la confezione grazie a un app ad hoc, viene proiettato uno scenario idillico costituito da un prato verde con animali che corrono felici e liberi.
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Una confezione può essere “artistica” e creativa sotto diversi punti di vista. Semplici ma di grande impatto in caso di un utilizzo “unconventional” (come complementi d’arredo, ad esempio) sono le confezioni di fazzoletti da scrivania della Kleenex e di altre marche che hanno progettato scatole dipinte o dalle forme extra-ordinarie, come la collezione a forma di fette di frutta, dall’anguria all’arancia.

In tutta Europa, nel campo alimentare, stanno spopolando confezioni che rappresentano un personaggio – l’orso per i biscotti al miele ad esempio -. Delle sagome che hanno una parte trasparente e/o apribile dalla quale si può vedere il prodotto o prenderlo, dando vita ad un vero e proprio gioco. Per bambini e per adulti.
In alcuni casi, invece, il packaging veicola un messaggio. Di identità culturale, come nel caso di alcune birre artigianali prodotte nel sud Italia, i cui nomi sono in dialetto e i disegni sulle bottiglie rimandano al significato del nome. O come avvenuto nel caso di una marca di pasta famosissima in tutto il mondo che ha creato una linea le cui confezioni sono state disegnate da Dolce & Gabbana. Il pack può essere sinonimo di identità politico culturale: famosissimo l’esempio della serie di bottiglie di Absolute Vodka disegnate da vari artisti in edizione limitata per il gay pride in Russia (realtà geo-politica dove l’omosessualità è ancora reato).

Tre anni fa un artista americano, Peddy Mergui, ha studiato alcune confezioni per brand di vario tipo, mutuandole dal mondo del food design. Queste opere sono state esposte al Museo di arti applicate di San Francisco: lattine di vernice usate come contenitore per le “linguine Ferrari“, una busta di caffè 100% colombiano avvolta in una stampa stile Cartier o lo yogurt color Tiffany che sembra provenire direttamente dal set della famosa “Colazione” del film omonimo. Le opere di Mergui sono l’anello di congiunzione tra il packaging geniale e l’arte che gioca con le confezioni, elemento classico della pop art. Un filone che dagli anni ’50 ad oggi non si è mai veramente esaurito.
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Tutto iniziò – ovviamente – con Andy Warhol che non si è limitato, come molti credono, a rappresentare la lattina della zuppa Campbell in uno dei suoi quadri. La sua passione per la riproducibilità dei segni come arte e come simbolo della nostra società è andata oltre e ha toccato le Green Coca Cola Bottles come le Brillo Boxes. Vale a dire scatole di detersivo molto simili a quelle di alcune marche di casa nostra che diventarono installazioni artistiche tridimensionali e che da alcuni anni sono state “trasformate” in elementi di arredo. Non quadri riprodotti in versioni economiche, ma piccoli puff sui quali sedersi.

L’ultima frontiera delle confezioni come arte è nelle applicazioni in campo moda. Da Versace in poi sono sempre di più gli stilisti che creano stampe ironiche – ma non troppo – facendo proprio il concetto della pop art della riproducibilità infinita dei disegni.
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